Olio di oliva, non c’è spazio per i grandi

Olio di oliva, non c’è spazio per i grandi

Le difficoltà in cui si trova il Gruppo Deoleo – che in Italia ha tra l’altro deciso in questi giorni di chiudere lo stabilimento di Inveruno della Carapelli – e il fatto che le multinazionali negli anni passati abbiano scelto di uscire dal business dell’olio di oliva indicano chiaramente che lo sviluppo del mercato dell’olio di oliva non passa per i grandi gruppi. Ma è bene precisare che i problemi di Deoleo non derivano dalle difficoltà di gestire un grande gruppo in una congiuntura negativa (ancora più forte nei Paesi consumatori e produttori di olio di oliva come Spagna, Italia e Grecia), il che in qualche modo potrebbe essere spiegabile. A mio avviso è la strategia che ha sostenuto lo sviluppo di Deoleo a risultare perdente. Una strategia che si basava su un assunto: nei Paesi grandi consumatori come Italia, Grecia e Spagna non è prevedibile nei prossimi anni una crescita dei consumi, mentre buone possibilità esistono in molti altri Paesi (Usa, Germania, Giappone…) in cui oggi i consumi sono decisamente bassi e dove grazie alle caratteristiche salutistiche dell’olio di oliva possono raddoppiare e anche triplicare. Fino a qui l’analisi è corretta, ma dov’è l’errore di strategia? È stato proprio Jesus Salazar, allora a capo della Sos Cuetara, oggi Deoleo, ad indicare che per favorire lo sviluppo occorreva mantenere i prezzi bassi in modo che i nuovi consumatori da conquistare avrebbero potuto facilmente passare dal consumo di oli di semi a quello di oliva.

Questa scelta si è rivelata un errore non solo per aver compresso i prezzi e i redditi dei produttori, ma anche per aver favorito truffe da parte di produttori disonesti. Insomma è stata presa la scorciatoia del prezzo piuttosto che la strada più lunga della valorizzazione e differenziazione qualitativa legata ai territori. In pratica, è come se i produttori di vino italiano avessero deciso, per sviluppare il loro business, di invadere i mercati con prodotti come il Tavernello.

Tutto ciò indica che ipotizzare che prodotti come il vino o l’olio possano essere trattati come commodity è un grave errore. Ma a questo punto voglio tornare al titolo, mi rendo conto un po’ provocatorio, di questo editoriale con una domanda: i gruppi multinazionali del settore possono rifuggire da questa strategia? A mio avviso no! Per una serie di motivi: in primo luogo per la composizione del capitale di controllo, spesso governato dai fondi di investimento (anche il Gruppo Deoleo è oggi controllato da Cvc Capital Partner) che hanno l’esigenza di portare a casa utili nel più breve tempo possibile, con la conseguenza di stressare le aziende e scartare strategie di lungo periodo. In secondo luogo perché i grandi gruppi nel settore alimentare privilegiano brand e prodotti industriali, ma anche le grandi commodity che offrono possibilità speculative. Rifuggono, viceversa, da tutto ciò che è tipico e legato al territorio. Tutto questo, nello stesso tempo, apre delle opportunità per le Pmi. In Italia operano una decina di aziende storiche, per la gran parte a capitale familiare, in grado, grazie all’allargarsi del mercato a nuovi consumatori, di svilupparsi ulteriormente, in particolare sui mercati internazionali; a queste si affiancano non più di cento aziende nella fascia di fatturato tra i 5 e i 20 milioni di euro strettamente collegate ai propri territori e posizionate nella fascia medio alta che possono crescere attraverso il presidio del territorio e il coinvolgimento di nuovi consumatori sempre più attenti alla qualità piuttosto che al prezzo. Anche queste aziende che realizzano prodotti di nicchia oggi possono attraverso le vendite online raggiungere mercati lontani (e se la produzione di nicchia si rivolge al mondo, il mercato non è più di nicchia!). Se a livello di mercato le prospettive possono essere interessanti, sul settore pesa la necessità della riorganizzazione della produzione olivicola: il Piano olivicolo dal 2016 c’è, i soldi, 32 milioni di euro, che non sono pochi, sono stati stanziati, ora occorre che diventi realtà.

Sergio Auricchio

auricchio@agraeditrice.com