Presentato il Rapporto 2016 dell’Osservatorio della cooperazione agricola italiana

Presentato il Rapporto 2016 dell’Osservatorio della cooperazione agricola italiana

Export a 6,6 miliardi di euro (+1,5%), cresce il fatturato medio aziendale (+2,7%), tengono occupazione (+0,4%) e retribuzioni

(AGRA) – Cresce il fatturato medio delle cooperative agroalimentari italiane (+2,7% nel 2015) e accelera il loro dinamismo sui mercati esteri, con un export che si stima arriverà a 6,6 miliardi di euro nel 2016 (+1,5% sul 2015; 6,5 miliardi di euro). E se nel 2015 il giro d’affari si attesta a 34,8 miliardi di euro mostrando una leggera flessione (-3,6%) sul 2013, legata al calo dei prezzi e alla contrazione dei consumi (soprattutto per latte, carne e zucchero), rimane invece stabile l’occupazione (+0,4%) e il monte complessivo delle retribuzioni. Prosegue inoltre il processo “muscolare” delle imprese cooperative che oggi sono meno, ma concentrano maggior fatturato e numero di addetti.

È quanto emerso dalla presentazione del nuovo Rapporto dell’Osservatorio della cooperazione agricola italiana, istituito dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e sostenuto dalle quattro Organizzazioni di rappresentanza delle cooperative dell’agroalimentare (Agci-Agrital, Fedagri Confcooperative, Legacoop Agroalimentare ed Unicoop), che fornisce ogni anno l’identikit del comparto.

Secondo la ricerca realizzata da Nomisma, nel 2015 erano 4.722 le imprese attive associate, con 90.542 addetti e 771mila adesioni.

“Dall’analisi del rapporto – ha dichiarato il presidente dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Giorgio Mercuri – emerge la vitalità della realtà produttiva della cooperazione che costituisce il 32% della Plv agricola nazionale e il 23% del fatturato alimentare italiano sul versante della trasformazione dei prodotti, attraverso una rete d’imprese particolarmente virtuose, caratterizzate da una mutualità dei conferimenti pari all’82% e che arriva al 92% al Sud Italia. Un’intensità di autogoverno che pone la cooperazione italiana tra le più avanzate in Europa nell’apporto delle materie prime da parte dei soci. Tuttavia – ha aggiunto Mercuri – i dati evidenziano ancora problemi irrisolti che le cooperative devono affrontare con decisione per contrastare lo squilibrio tra il Nord e il Sud, nonostante si riconoscano traguardi significativi raggiunti negli ultimi decenni da molte aziende leader in filiere strategiche”.

Si conferma infatti il primato del Nord Italia, dove cresce il numero delle imprese (pari al 46% del totale) che generano l’82% del fatturato della cooperazione. In particolar modo, Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto Adige e Lombardia, pur essendo presenti sul territorio con appena il 31% delle cooperative totali, insieme esprimono il 77% (26,7 miliardi di euro) del giro d’affari complessivo della cooperazione agroalimentare italiana. Regioni, queste ultime, a cui si deve gran parte della centralità della cooperazione nel sistema primario, con il 20,1% del giro d’affari totale dell’agroalimentare nazionale.

Rispetto al rapporto precedente emerge un complessivo consolidamento delle dimensioni medie delle imprese, riconducibile in parte a processi di aggregazione e fusione, che ha portato le cooperative ad aumentare il fatturato medio (passato da 7,2 a 7,4 milioni di euro) e il numero medio degli addetti (da 18,3 a 19) nel triennio 2013-2015.

“Spunti interessanti provengono quest’anno – ha sottolineato la responsabile cooperazione di Nomisma, Ersilia Di Tullio, presentando la ricerca – dall’attività di analisi sulle top imprese dei principali settori cooperativi – ortofrutticolo, lattiero caseario e vitivinicolo – che nel periodo 2013-2015 hanno tenuto, con la sola eccezione del latte che soffre di una crisi generale. Cooperative dall’alto tasso di propensione all’export che, grazie alle vendite sui mercati internazionali, hanno contrastato i meno positivi risultati sul mercato interno, caratterizzato da una crisi dei consumi. I risultati migliori sul mercato estero sono legati alle esportazioni nei Paesi extra Ue, oggi più dinamici e attrattivi del mercato comunitario”.

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