Termodinamico ed Energia da biomasse figli di un Dio minore per il Recovery plan

Termodinamico ed Energia da biomasse figli di un Dio minore per il Recovery plan

Tra i settori che rispettano appieno gli obiettivi stabiliti dal Green Deal europeo vi sono sicuramente l’Energia da Biomasse Solide (EBS) e il Termodinamico. Per di più hanno il vantaggio, a differenza dell’energia solare e dell’eolico, di fornire energia con continuità. Eppure nel Recovery plan non sono neanche menzionati. Si consideri che in Italia sono più di una ventina gli impianti a biomasse di taglio superiore ai 5 MW su tutto il territorio nazionale e che complessivamente arrivano a 420 MW gli impianti in funzione che utilizzano sottoprodotti agricoli, delle industrie alimentari e delle lavorazioni forestali, contribuendo alla manutenzione del patrimonio boschivo, spesso in aree interne e marginali. Analoga disattenzione nel Pnrr per il termodinamico, almeno per ora, una delle grandi occasioni perse per il nostro Paese.

Risale agli inizi del 2000 la nuova tecnologia sviluppata dall’Enea con il progetto Archimede, guidato dal premio Nobel Carlo Rubbia, per produrre energia termica e contrastare la dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili. Nacquero così i primi impianti che tramite specchi concentravano energia su un elemento ricevitore altamente assorbente in cui scorre un fluido che trasporta il calore fino a un generatore di vapore e poi alla turbina che produce energia. L’Italia in quegli anni aveva un primato in questa tecnologia, ma tra ritardi burocratici e opposizioni degli ambientalisti, i progetti in cantiere non furono realizzati. Ma anche in questo campo qualcosa si muove, anche se lascia in qualche modo sorpresi il fatto che a Partanna sia entrato in funzione a carico parziale dal luglio scorso, senza alcuna notizia apparsa sulla stampa, un impianto termodinamico (nella foto) realizzato con la consulenza tecnica dell’Enea dalla società Solinpar, che lo ha finanziato con risorse proprie. Eppure le caratteristiche dell’impianto non sono trascurabili sia per dimensione che per potenza. Questo campo solare, con una superficie specchiante di 83mila metri quadrati (pari a 10 campi da calcio), ha una potenza installata di 4,26 MWe ed è in grado di produrre energia elettrica per oltre 1.400 famiglie. Inoltre, la capacità di accumulo di energia termica pari a 180 MWht, garantisce un’autonomia di circa 15 ore di funzionamento dell’impianto a pieno carico, anche in assenza della radiazione solare. A costruire l’impianto è stata la società Fata del gruppo Danieli.

“Innovativo è anche il progetto – sottolinea l’Ing. Valeria Russo, responsabile dell’Enea per il progetto Partanna – che per primo in Italia utilizza specchi Fresnel che consistono in strisce parallele di specchi piani inclinati opportunamente per concentrare la radiazione solare. Inoltre, come fluido termovettore, invece degli oli diatermici che avevano suscitato l’opposizione degli ambientalisti si utilizza una miscela di nitrato di potassio e nitrato di sodio, le stesse sostanze che sono utilizzate in agricoltura per i fertilizzanti”.

L’altra criticità che spesso viene indicata per questo tipo di progetto è la sottrazione di terra all’agricoltura, ma anche questo problema è stato superato – fanno notare dall’Enea – andando a collocare l’impianto su un terreno roccioso e non produttivo. È evidente che aver trascurato nel Pnrr due settori importanti per l’utilizzo delle energie alternative al fossile metterà in crisi le EBS, un settore che è già decollato, mentre dopo tanti anni dalle intuizioni di Rubbia, il termodinamico nel momento in cui sembra aver trovato la propria strada, rischia di lasciare l’Italia per trovare applicazione in altri Paesi.                                                                                                                          S.A.

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