Chi guadagna con le vendite online?

Chi guadagna con le vendite online?

Certamente non i consumatori, sui quali ricadono i costi ambientali

Probabilmente molti tra i milioni di giovani scesi in piazza nei “venerdì di Greta” a favore della sostenibilità ambientale, nella settimana precedente hanno effettuato un acquisto online, attratti dalla varietà e dai prezzi dell’offerta. Hanno ordinato libri, vestiti, ma anche pizze e altri cibi e bevande per un incontro conviviale. Sfugge loro un piccolo particolare: il gas serra provocato dal trasporto negli Stati Uniti (per ora non esistono dati per i Paesi europei, ma è prevedibile una tendenza analoga) ha già superato quello prodotto dalle centrali di energia; inoltre la maggior parte dell’inquinamento deriva dalle consegne sull’ultimo miglio, effettuate da furgoni che portano i prodotti nelle case. La crescita dell’e-commerce è continua anche in Italia: secondo le ultime stime diffuse dal Politecnico di Milano e Netcomm nell’ambito dell’Osservatorio eCommerce B2c, nel 2017 il valore degli acquisti online è cresciuto del 17% e per la prima volta quello per i prodotti, con uno sviluppo del 28% rispetto al 2016, ha superato quello per i servizi.
Oltre alla produzione di gas serra, la crescita esponenziale delle vendite online comporta altri problemi legati a decine di migliaia di furgoni delle grandi compagnie di corrieri che intasano ulteriormente il traffico delle città. Inoltre, a contribuire al frenetico movimento di questi mezzi da qualche tempo si aggiunge il fenomeno della crescita dei resi non sempre derivanti da difetti o errori nella spedizione di chi si occupa di logistica. Un sondaggio di Checkpoint Systems con un focus sul mercato inglese ha rivelato che, su poco più di 1.500 consumatori, oltre un quinto ha ammesso di acquistare vestiti con l’intenzione di indossarli e poi restituirli, un fenomeno chiamato wardrobing. Questa percentuale è pari al 43% nella fascia d’età 16-24 anni e al 39% nella fascia d’età 25-34 anni. L’abbigliamento è la categoria merceologica più soggetta al wardrobing, seguita dall’elettronica e dalle calzature. In questo caso il wardrobing oltre a incidere negativamente sull’ambiente va a penalizzare gli stessi portali dell’online per i quali i resi rappresentano un costo. Non vanno inoltre trascurati gli imballaggi: scatole di cartone, polistirolo e plastica che fanno lievitare i rifiuti e i relativi costi di smaltimento delle amministrazioni comunali che vengono alla fine scaricati sui cittadini attraverso la tassa sui rifiuti. Le grandi multinazionali dell’online, in primis Amazon, realizzano quindi grandi profitti e riescono a praticare prezzi concorrenziali anche grazie al fatto che scaricano sulla collettività inquinamento e rifiuti. Questo aspetto, insieme a quello fiscale (è noto che i gruppi multinazionali abbiano una marcata idiosincrasia per il fisco e riescano attraverso artifici a eludere la tassazione nei Paesi in cui operano), rappresenta un problema per tutti i Paesi in cui le vendite online sono in forte crescita, ma nello stesso tempo dovrebbe far riflettere tutti noi quando ordiniamo un libro o un capo di abbigliamento su Amazon pensando di risparmiare rispetto a una libreria o a un negozio sotto casa, mentre invece paghiamo di più per inquinamento atmosferico e rifiuti.

Sergio Auricchio

auricchio@agraeditrice.com